Lo street food esiste da secoli in Sicilia
In Sicilia sono talmente numerosi gli esempi di cibo di strada, oggi chiamato street food, che ci vorrebbe un intero volume per presentarli e raccontarli tutti. Talvolta si tratta di eccellenze gastronomiche condivise, quando non contese, da varie città; più spesso si incontrano piatti molto territoriali. Alcune sono delle vere e proprie istituzioni di una tradizione gastronomica antica, che unisce la cultura del cibo dei “baroni” alla tipica cucina povera, pescando da una lunga storia ricca di influenze culturali, sfruttando le tante spezie disponibili, il pesce e l’immenso patrimonio ortofrutticolo. Insomma il buon mangiare rappresenta senza ombra di dubbio un elemento di identità regionale.
Lo street food siciliano vanta quindi una grande varietà di preparati, a partire da quello più conteso. L’Arancino, inserito nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani (PAT) del Ministero delle Politiche Agricole, è un piccolo timballo di riso impanato con l’uovo e fritto. Ha una forma più frequentemente conica, da una decina di centimetri, oppure rotonda. Secondo l’Accademia della Crusca l’“arancina” è quella preparata nella Sicilia Occidentale e a Palermo, mentre la “o” finale e la forma conica (come l’Etna) contraddistinguono la versione catanese e occidentale. In generale al riso vengono affiancati ragù, piselli, caciocavallo o mozzarella, zafferano e altro ancora, sempre a seconda della zona; ne esistono infatti oltre un centinaio di versioni.
Questo piatto, il cui nome deriva dal colore dorato che ricorda proprio l’arancia, ha origini risalenti addirittura alla dominazione araba (IX-XI secolo) e anche alla versione dolce per la Festa di Santa Lucia nel XVII secolo, che a Palermo è ancora viva. Proprio nel capoluogo si trova un posto ideale per l’arancina con la “a”: la Rosticceria “La Romanella” aperta nel 1972 e vero e proprio luogo di pellegrinaggio per appassionati e turisti. Per l’arancino con la “o” a Catania ci sono invece due locali storici, praticamente affiancati: la pasticceria “Savia” (1897) e la pasticceria “Spinella” (anni ’30).
Nel ragusano tutti conoscono la “Scaccia” che, infatti, proprio della zona iblea è originaria (vedi anche il pastizzu modicano) ma che conta varianti in altri territori regionali, come dimostrano la Scacciata a Catania o l’Impanata a Palermo. Si tratta di una focaccia cotta al forno e molto sottile. Ripiegata più volte, contiene ricotta e cipolla, oppure ricotta e salsiccia, pomodoro e cipolla o ancora pomodoro e malanzane, per parlare delle tipologie più diffuse. Al banco del “Panificio Vindigni” di Ragusa si possono assaggiare tante delle più tipiche focacce siciliane, oltre agli arancini e, naturalmente, al pane appena sfornato.
Il “Pani Cunzatu” è la classica ricetta povera, tanto da essere chiamato anche “pane della disgrazia”. E’ pane casareccio appena sfornato e, appunto, condito con olio, pomodori, origano, acciughe sottolio (in passato solo per i più fortunati), foglie di basilico e pepe, a volte formaggio e cipolle. Va consumato tiepido ed è tipico di tutta la Sicilia.
“Pane e Panelle” è un prodotto PAT tipico delle strade della Sicilia Occidentale, diffuso soprattutto nelle friggitorie (panellari) della zona di Palermo e del Trapanese. Ormai famose in tutto il mondo, le panelle vengono dalla tradizione araba e sono delle frittelle a base di farina di ceci. Con il prezzemolo e abbondantemente salate e pepate, vanno adagiate nelle classiche mafalde. Spesso il pane e panelle viene affiancato dalle crocchè (o cazzilli), crocchette di patate con pepe e prezzemolo. L’antica “Friggitoria Caruso” in Corso dei Mille a Palermo, a due passi dal mare, è un appuntamento immancabile non solo per il pane e panelle e per i cazzilli ma anche per gli arancini e per il Pani ca’ Meusa.
E proprio quest’ultimo è un altro dei patti di strada di cui vogliamo parlare. Infatti in questo tipo di cucina non potevano mancare i preparati a base di frattaglie. Il “Pani ca’ Meusa” (con la milza) si prepara farcendo la vastedda (tipica pagnotta siciliana morbida) con la milza e il polmone tagliati a pezzettini, bolliti e poi fritti nello strutto. Se è maritatu, vuol dire che si può “sposare” con il caciocavallo grattugiato o la ricotta. E poi c’è la “Stigghiula” (prodotto PAT), che deriva da un piatto tradizionale greco e consiste in uno spiedino di intestino di agnello (o vitello) avvolto attorno a un cipollotto. Viene cotto alla brace, quindi condito con sale e limone. Si può acquistare alla tradizionale bancarella palermitana dello Stigghiularu.